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giovedì 14 febbraio 2013

Dirigente comunale: collocazione nelle fasce di merito e giurisdizione

La riforma Brunetta (d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150) ha imposto, come è noto, un nuovo sistema di valutazione del personale.
Il sistema di misurazione e valutazione delle performances individuali dei dirigenti e dei responsabili di posizione organizzativa che operano in posizione di autonomia e responsabilità avviene sulla base di tre fattori:
  1. esiti della performance della struttura organizzativa 
  2. raggiungimento degli obiettivi assegnati in modo specifico al dirigente o responsabile 
  3. apporto alla performance della struttura diretta, competenze professionali e manageriali concretamente dimostrate. 

Il d.lgs. Brunetta prevede che l’organismo indipendente per la valutazione (negli enti locali la denominazione può essere differente) proceda a formare una graduatoria in tre fasce dei dipendenti:
  • alta, in cui può essere collocati al massimo il 25% dei dirigenti e del personale ed a cui spetta il 50% del trattamento accessorio);
  • intermedia, in cui è collocato il 50% dei dirigenti e personale ed a cui spetta il 50% del trattamento accessorio;
  • bassa, in cui confluisce non più del 25% dei dipendenti ed a cui non spetta alcun tipo di trattamento accessorio.
I contratti integrativi possono aumentare fino al 5% il numero dei dipendenti da collocare nella fascia alta e modificare la consistenza delle altre. La graduatoria in tre fasce è vincolante anche per gli enti locali; il d.lgs. prevede che in tali enti la parte più consistente del trattamento accessorio sia attribuita ai dipendenti della fascia alta (la suddivisione nelle tre fasce non si applica solo agli enti che hanno fino a 5 dirigenti e 8 dipendenti).

Nulla è stabilito in merito alla giurisdizione sulle controversie relative alla collocazione di un dipendente in una determinata fascia.
Sul punto si è pronunciata la giurisprudenza amministrativa nel caso di un dirigente comunale che agiva per ottenere una corretta valutazione complessiva della posizione del suo incarico nell’ambito della struttura organizzativa dell’Ente e, soprattutto, per ottenere la corresponsione della retribuzione di posizione prevista per la fascia più alta.
Secondo il giudice amministrativo (TAR Piemonte, sez. II, 27 settembre 2012, n. 1077) la norma-chiave per ricostruire la problematica sulla giurisdizione è l’art. 63, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001 la quale così dispone: 
Sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui al comma 4, incluse le controversie concernenti l'assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti. Quando questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica, se illegittimi. L'impugnazione davanti al giudice amministrativo dell'atto amministrativo rilevante nella controversia non è causa di sospensione del processo. 
La portata della norma è tale da attrarre alla giurisdizione del giudice ordinario tutte le controversie nelle quali si fanno valere, in via diretta, interessi connessi con lo status di dipendente pubblico, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti, come ad esempio gli atti di macro-organizzazione (ossia gli atti organizzativi mediante i quali ciascuna amministrazione disegna le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, individua gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi e determina le dotazioni organiche complessive: art. 2, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 165 del 2001). L’eventuale rilevanza di questi ultimi ai fini della decisione, secondo l’espressa previsione legislativa, non consente di spostare la giurisdizione dalla cognizione del giudice ordinario, essendo in tal caso consentita a tale giudice la possibilità di disapplicare detti atti. 
L’assunto è stato più volto confermato dal giudice della giurisdizione (ex multis, Cass. civile, sez. unite, sentenze nn. 3677/2009 e 3052/2009) secondo la quale non è consentito al lavoratore pubblico, titolare di un diritto soggettivo, il quale risente degli effetti di un atto amministrativo di natura organizzativa, di scegliere, per la tutela del diritto, di rivolgersi al giudice amministrativo per l'annullamento dell’atto, oppure al giudice ordinario per la tutela del rapporto di lavoro previa disapplicazione dell’atto presupposto, atteso che, in tutti i casi nei quali vengano in considerazione atti amministrativi presupposti, ove si agisca a tutela delle posizioni di diritto soggettivo in materia di lavoro pubblico, è consentita esclusivamente l’instaurazione del giudizio davanti al giudice ordinario, presso il quale la tutela è pienamente assicurata dalla disapplicazione dell’atto e dagli ampi poteri riconosciuti a quest’ultimo dall’art. 63, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001. 
Per converso, la giurisdizione è radicata in capo al giudice amministrativo tutte le volte in cui l’atto di organizzazione non viene in considerazione quale mero atto presupposto, in quanto non incide direttamente su atti di gestione del rapporto di lavoro, ma spiega sulla posizione del lavoratore solo un’efficacia indiretta o riflessa.

In altri termini, è pur vero che il pubblico dipendente può comunque impugnare dinnanzi al giudice amministrativo gli atti di macro-organizzazione, con i quali l’amministrazione pubblica stabilisce le linee portanti della propria struttura interna; tuttavia ciò è possibile solo allorché tali provvedimenti non costituiscano il presupposto di un atto di gestione del rapporto di lavoro, che in quanto tale va ad incidere direttamente sugli interessi connessi alla posizione lavorativa del dipendente. In caso contrario, deve trovare invece applicazione la suindicata disposizione di cui all'art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001, che come visto devolve al giudice ordinario tutte le controversie in materia di rapporti di pubblico impiego, se del caso mediante l’impiego del potere di disapplicazione dell’atto organizzativo presupposto (così TAR Lombardia, Milano, sez. III, n. 4311 del 2009).

La pretesa di ottenere una corretta valutazione della posizione dirigenziale ai fini della collocazione nelle fasce di merito, non vi è dubbio, attiene a situazioni di diritto soggettivo connesse con lo svolgimento del rapporto di lavoro in essere con l’amministrazione. La relativa controversia deve essere radicata davanti al giudice ordinario, al fine di contestare atti di gestione del lavoro privatizzato (in special modo, la determinazione che aveva individuato la retribuzione di posizione delle varie direzioni) rispetto ai quali gli atti di macro-organizzazione, anche di natura regolamentare, concernenti la graduazione delle varie posizioni dirigenziali, si pongono quali atti presupposti aventi la caratteristica di incidere direttamente sugli interessi connessi alla posizione lavorativa del ricorrente.

(di G. Crepaldi, pubblicato il 13.02.2013 su www.ilpersonale.it)

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