Intervengono per una radicale ristrutturazione aziendale o per risolvere problemi particolari e poi se ne vanno. Anche le PMI cominciano a chiamarli, e per molti che hanno perso il lavoro questa diventa un'occasione di riscatto.
I dirigenti diventano sempre più flessibili, ma soprattutto a tempo. Passano da un’azienda all'altra nell'arco di pochi mesi, assumono ruoli importanti, seguono progetti di ristrutturazione e di sviluppo, lanciano nuovi brand e chiudono stabilimenti.
Da quando sono nati, i temporary manager hanno rappresentato in Italia un mercato di nicchia, eppure negli ultimi anni le società che si occupano della gestione temporanea d’impresa si sono trovate di fronte a un notevole incremento di persone intenzionate a diventare dirigenti a tempo, complice anche la crisi e la riduzione di assunzioni nelle aziende.
Maurizio Quarta |
Pur in assenza di numeri certi – spiega Maurizio Quarta, Managing Partner di Temporary Management & Capital Advisors - l’offerta continuerà a crescere anche nei prossimi 2-3 anni, sia per quanto riguarda il numero di società specializzate sia per i temporary manager in attività.
E se fino a poco tempo fa erano i grandi gruppi a farne richiesta, oggi anche le piccole e medie imprese ci stanno pensando: come sostiene ancora Maurizio Quarta
Le pmi sono sempre più interessate a dirigenti esterni, comprese le aziende molto piccole, con fatturati dell’ordine dei 2-4 milioni di euro, nelle quali l’imprenditore è arrivato autonomamente a elaborare i propri bisogni manageriali e a identificare il percorso per soddisfarli.
Le pmi stanno iniziando a cambiare mentalità ed anche se la domanda di temporary manager resta bassa, almeno per ora, non mancano i casi di successo.
Gian Andrea Oberegelsbacher |
Gian Andrea Oberegelsbacher, ha scelto la strada del manager a tempo nel 2005 e da allora ha ricoperto diverse cariche in più di venti realtà comprese le pmi. Tra queste c’era un’azienda di distribuzione specializzata nel canale delle tabaccherie di Ferrara, dove è stato direttore generale:
Dovevo riuscire a rilanciare l'azienda a 360 gradi, affiancando la proprietà e mettendo in gioco tutte le mie competenze. Da subito mi sono concentrato su tre grandi priorità aziendali, ovvero aumentare il fatturato, delocalizzare il magazzino in logistica esterna, e attivare una politica di revisione sugli acquisti, sui fornitori e sulla gestione dello stock. L’operazione si è conclusa con successo nell’arco di due anni.
Altro caso, una azienda familiare di pelletteria di lusso con sede a Rimini:
L’impresa produceva borse di alta qualità ma da anni lavorava come terzista – continua a raccontare Oberegelsbacher - A un certo punto l’azienda mi chiese di lanciare una linea di prodotti con il nome di famiglia in quattro mesi, per partecipare ad una fiera del settore. L’operazione riuscì con successo, tanto che e a distanza di un anno il nuovo brand rappresentava già un quarto del business dell’impresa.
Federico Ferrarini |
La figura del temporary manager è diventata di “moda” da poco, eppure ci sono professionisti che fanno questo lavoro da più di vent’anni come Federico Ferrarini, presidente tra l’altro di LeadingNetwork, un’associazione di dirigenti a tempo:
Tra le varie esperienze me ne ricordo una in particolare, quando divenni ammini-stratore delegato di Uteco Converting Spa per ristrutturare l’azienda. Come ho fatto? Ho raccolto un team di manager di grandi qualità provenienti da settori industriali evoluti (in gran parte da multinazionali), poi lo ho amalgamati con le professionalità tecniche e industriali storiche nell’azienda. Una volta raggiunto l’obiettivo me ne sono andato.
L’operazione ha infatti permesso a Uteco di passare in due anni da 40 a 60 milioni di euro di fatturato e da sette milioni di perdita a un milione di utile. Luciano Biron è un altro temporary manager “storico”: dopo dieci anni all’estero, tra Stati Uniti e Svizzera, e esperienze importanti in multinazionali, è tornato in Italia nel 1993 e da allora è diventato un dirigente a tempo.
Credo di essere uno di quelli che ha fatto più ristrutturazioni di tutti, e pensare che ho iniziato vent’anni fa – racconta Biron – Negli anni sono stato chiamato da tante aziende, grazie anche alla mia esperienza internazionale. La Wolseley, ad esempio, mi ha chiesto di prendere una decisione strategica sul mercato Italiano nel 2009.
Il gruppo fatturava ai tempi 15 miliardi di euro e il nostro Paese ne rappresentava la fetta più debole (inferiore al 5% del suo fatturato totale).
Ho assunto il ruolo di presidente - spiega Biron - in un anno ho portato l’azienda a regime e proposto due piani industriali possibili. A quel punto il mio lavoro era finito.
Mario Giacone, manager con una lunga carriera alle spalle, si è invece trovato a dover chiudere uno stabilimento con 320 dipendenti. Era la fabbrica di Om Italia a Bari (ex azienda Fiat), appartenente al gruppo tedesco Kion (leader mondiale nella produzione di carrelli elevatori):
Ho lavorato al progetto per un anno e tre mesi. È stato sicuramente uno dei casi più lunghi e corposi che ho dovuto affrontare durante la mia carriera da temporary manager.
La decisione di Kion era infatti legata alle difficoltà del business e all'esigenza di rinnovare la gamma dei prodotti.
In questo caso il ricorso a un temporary manager è una scelta piuttosto usuale per un grande gruppo, a differenza di quello che accade nelle Pmi – conclude Giacone - Di solito, le realtà più piccole cercano il manager esterno per portare a termine un progetto specifico, legato a competenze particolari, ma difficilmente gli chiederà di guidare una azienda per prendere decisioni strategiche. Almeno in Italia.
(di Catia Barone)
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