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lunedì 10 giugno 2013

Le Politiche Giovanili al tempo della crisi ed i Piani Locali Giovani dei comuni italiani. Un primo commento a Corte dei Conti Sez. Centr. Controllo del. 2/2013/G

 Domenica Savia Coppola
Presidente di M(p)3
In questo periodo si parla di crisi e si parla di giovani.
Si parla di mancanza di posti di lavoro, di opportunità di crescita professionale, di accesso alla casa, al credito, alla possibilità di creare impresa. Si parla quindi della difficoltà per i giovani cittadini di intraprendere quei percorsi di vita personale e professionale che dovrebbero fare di loro i futuri cittadini adulti di questo Paese.
Ma allora, se le condizioni sono queste, da quali persone sarà composto il tessuto sociale italiano nei prossimi dieci, venti anni?
Se non diamo ai ventenni di oggi, la possibilità di diventare cittadini pieni, titolari di diritti ma anche di responsabilità nei confronti di sé ed anche del contesto sociale in cui sono inseriti, avremo trenta e quarantenni inetti e depressi, incapaci di fare delle scelte. Che cosa sarà il nostro Paese?
La mia è una provocazione, ma lo scenario delineato non è così lontano da un epilogo possibile della situazione che stiamo vivendo oggi.
La provocazione era per sollevare l’attenzione sulle politiche giovanili, e sul significato che le politiche giovanili hanno oggi.
Per troppo tempo siamo stati legati allo stereotipo dell’intervento pubblico sui giovani orientato al finanziamento di attività ricreative (che pure hanno una loro valenza, beninteso) o, per converso, al finanziamento pubblico di attività di prevenzione dalle tossicodipendenze e delle più disparate forme di devianza (che comunque meritano un attento intervento).
Si trascura di considerare, invece, che un intervento pubblico sulla popolazione italiana giovane, deve essere un intervento trasversale ed è un intervento che attiene alle politiche di sviluppo economico e sociale del Paese.
Ed eccomi all’oggetto della mia riflessione. Sono d’obbligo una premessa storica e qualche riferimento normativo.
Nel 2006, durante il Governo Prodi, con il D.L. 223/2006 convertito in legge 248/2006, fu istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri,il Fondo nazionale per le Politiche Giovanili (FNPG), finalizzato a sostenere iniziative volte a promuovere il diritto dei giovani alla formazione culturale e professionale ed all'inserimento nella vita sociale, anche attraverso interventi volti ad agevolare la realizzazione del diritto dei giovani all'abitazione, nonché per facilitare l’accesso al credito per l’acquisto e l’utilizzo di beni e servizi (DL 223/2006 art 19 c.2).
In seguito, con il DPCM 20 giugno 2008, venne istituita la Struttura di missione, quindi il complesso degli uffici deputati alla gestione amministrativa delle iniziative finanziate dal FNPG.
Il Fondo fu inizialmente dotato di soli 3 mln di euro per il 2006 e poi di circa 130mln di euro all’anno per il 2007/2008/2009, per un totale di circa 393mln di euro complessivi.
Tali risorse furono ripartite in Conferenza Stato- Regioni. In quella sede si decise l’ammontare delle quote del Fondo che sarebbero andate alle Regioni, alle Provincie ed ai Comuni e le modalità per la relativa erogazione.
Buona parte dell’utilizzo effettivo di quelle risorse, in termini di spesa, ricadde nella competenza del Governo successivo.
L’avvento di un nuovo Governo portò alla istituzione, il 29 ottobre 2009, di una nuova struttura amministrativa in sostituzione della prima, il Dipartimento della Gioventù, sempre presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Lo scorso 7 marzo 2013 la Corte dei Conti si è pronunciata sulla spesa relativa al Fondo Nazionale delle Politiche Giovanili.
La Corte dei Conti, infatti, ai sensi della legge 14 gennaio 1994, n. 20 ed, in particolare, l’art.3, comma 4, svolge il controllo sulle gestioni delle Amministrazioni pubbliche, verificandone la legittimità e la regolarità,il funzionamento degli organi interni, nonché la corrispondenza dei risultati dell’attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge,valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell’azione amministrativa.
Con la deliberazione n. 2/2013/G adottata nella seduta plenaria del 7 marzo 2013 la Sezione Centrale di Controllo ha valutato la spesa del Fondo Nazionale delle Politiche Giovanili a cui sopra ho fatto cenno.
Ebbene, molteplici sono gli spunti di riflessione che inevitabilmente scaturiscono dalla lettura dell’articolato testo, a partire da quella relativa agli aspetti organizzativi delle strutture deputate all’adozione degli atti procedimentali e della mancanza di continuità amministrativa al momento dell’avvicendarsi delle due strutture, con le inevitabili ripercussioni a cascata su tutti i destinatari delle relative risorse, in primis i Comuni.
Quello che però in questa sede ho scelto di evidenziare è innanzitutto la accezione che la Corte dei Conti attribuisce alle politiche pubbliche per la gioventù, ponendo l’accento su come la Corte stessa abbia valutato, nel complesso, le modalità di spesa del FNPG ed in particolare il modello dei Piani Locali Giovani nei Comuni italiani. Farò quindi un breve cenno al Comune di Napoli, che è la realtà che ho conosciuto più da vicino.
Circa il primo aspetto, la Corte chiaramente afferma che
Le politiche giovanili sostenute da specifici interventi legislativi hanno assunto progressivamente una loro precisa identità nel contesto delle politiche di intervento, pur trovando evidenti connessioni con altre aree, come quelle, ad esempio, delle politiche per la famiglia, della lotta alle dipendenze e con tutto il settore che va dall'istruzione al lavoro. Le contiguità sono quindi molteplici e gli interventi di settore a valere sul Fondo per le politiche giovanili vanno considerati come facenti parte di un complesso di iniziative, di competenza di più soggetti istituzionali, che dovrebbero interagire ai fini della realizzazione effettiva di un Sistema organico, cui riferire una strategia comune.
La Corte, in sintesi, rimarca un concetto che negli ultimi anni una parte di Comuni Italiani e di enti no profit, che insieme fanno parte della rete ITER, ed anche l’ANCI e le principali Università italiane continuano a ripetere: le politiche giovanili riguardano trasversalmente tutti gli ambiti dell’intervento pubblico, nel momento in cui esso impatta sulla popolazione giovane.
Nel corpo della delibera, insieme all’analisi della spesa, si rafforza questo principio e si sottolinea che le politiche giovanili sono quindi politiche del lavoro, della casa, dell’istruzione e formazione, della sanità, del welfare, politiche industriali e di sviluppo, del credito, e poi anche, la cultura, lo spettacolo, la creatività, l’ICT, la creazione d’impresa e via dicendo.
In un Paese che invecchia, ed i cui giovani non studiano, non lavorano, ed anzi un lavoro non lo cercano più o lo trovano all'estero e non ritornano, in cui molti non seguono percorsi di qualificazione professionale, le politiche pubbliche sui cittadini giovani diventano centrali e strategiche quali politiche di sviluppo. Non a caso la norma istitutiva del fondo era denominata, tra l’altro: “disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale”.
Dal 2006 al 2011, come si è detto, furono stanziate risorse destinate ad essere utilizzate all’implementazione dell’intervento pubblico sulle direttrici prioritarie di lavoro casa e credito.
I rilievi della Corte non riguardano quindi le finalità dello stanziamento, che la Corte stessa reputa condivisibili, bensì la fase di utilizzo delle risorse stanziate, quella della spesa.
A tale proposito dichiara che:
Va sottolineato come la polverizzazione dei progetti, la riconduzione a tematiche generiche e sovrapponibili, le difficoltà nel portare a compimento i progetti stessi, fattori che hanno determinato una vischiosità nell'impiego delle risorse, sono riscontrabili sia sul piano nazionale che su quello locale. Alle carenze rilevate sotto il profilo programmatorio vanno aggiunte quelle dovute all'assenza di un reale monitoraggio qualitativo che non ha consentito un’effettiva valutazione dei risultati, anche qui sia in ambito nazionale che in ambito locale.
La Sezione di controllo segnala solo una modalità “virtuosa”:
Vanno segnalati quegli interventi che sul piano territoriale hanno presentato una dinamica tendente a creare una rete, come nel caso dei Piani locali giovani, in qualche modo mirata a dare una sistematicità ad azioni altrimenti polverizzate.”

(1) Le precedenti leggi nazionali, si è detto, (DPR 309/1990 e L. 216/1991) finanziavano e disciplinavano interventi volti al contrasto alla criminalità giovanile, droga, emarginazione, volti in buona sostanza ad evitare che il giovane “finisse male”. Una prima svolta viene data dalla legge 285/1997 contenente”Disposizioni per la promozione di diritti e opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”.
E dunque:
Il primo dato sul quale soffermarsi è probabilmente  quello che anche la Corte dei Conti, come prima i Comuni e poi i Governi avvicendatisi dal 2006 al 2011 di avere riconosciuto e promosso lo status di giovane come soggetto portatore di peculiarità, saperi, innovazione, quindi come potenziale risorsa sociale e non problema, o possibile emarginato, tossicodipendente, criminale (1). Si parla di politiche giovanili finalmente intese come interventi per la gioventù in generale, in condizioni di normalità e non di marginalità, situazione, questa ultima, di cui si occupano invece gli interventi socio assistenziali.

L’altro dato è l’affermazione, in buona sostanza, che l’efficacia dell’intervento pubblico nell’ambito delle azioni che a diverso titolo vanno ad impattare sulla popolazione giovane non può prescindere dalla necessaria interazione tra diversi livelli istituzionali, e quindi Comuni (singoli ed associati), Città Metropolitane, Provincie, Regioni, Stato.
La gestione di questo sistema complesso presuppone istituzioni in grado di assumere un approccio nuovo che passi davvero, e non solo “sulla carta”, dall’esercizio dell’autorità in un rapporto di sovraordinazione gerarchica a quello della condivisione degli interventi, che si attui cioè quello che già da tempo gli studiosi del settore pubblico auspicano: il passaggio da government a governance, dove nel government prevale l’utilizzo di strumenti di governo gerarchici o proprietari, coerenti ad uno scenario in cui nell’azione pubblica è predominante la produzione diretta di servizi, mentre nella governance si privilegiano strumenti di indirizzo e di promozione a causa di una minore disponibilità di prerogative di governo dirette da parte della PA.
Il paradigma della governance, infatti, si fonda sull’osservazione che una quota significativa delle variabili socio-economiche rilevanti non sono più influenzate o influenzabili in modo esclusivo e determinante dall’azione delle P.A., ma rientrano nelle sfere di influenza di altri istituti sociali. Questo è dovuto allo sviluppo del concetto di interesse pubblico, che ora include delle dimensioni antropologiche, ambientali e politiche in passato molto più ristrette, alla crescente complessità delle società occidentali contemporanee ed alla diffusione di ricchezza e di poteri socio economici tra i corpi sociali. Pertanto l’interesse pubblico può essere meglio tutelato solo cercando di ricondurre a sistema (connettere in rete) tutti gli istituti che detengono delle prerogative di governo sulle variabili socio economiche rilevanti, indirizzandoli verso una visione comune e condivisa di interesse pubblico (Longo 2005). Se si fa riferimento alle politiche giovanili, ed in particolare a come esse sono oggi declinate a livello nazionale, ecco che il paradigma della governance va inteso sia come approccio analitico allo scenario in cui opera la P.A. e sia (e soprattutto) come conseguente logica di progettazione degli assetti e degli strumenti di governo. In questo caso, quel paradigma costituisce un approccio utile laddove si scopre che la pubblica amministrazione non governa più la maggior parte delle variabili che sono rilevanti per la tutela dell’interesse pubblico, ovvero quando l’azione pubblica è strutturalmente debole o insufficiente o copre solo parzialmente gli obiettivi che tutelano l’interesse pubblico.
Un ultimo dato è la necessità evidenziata di un adeguato e qualificato strumento di rilevazione dei bisogni, nonché di monitoraggio e valutazione dell’impatto dell’azione pubblica in questo settore di intervento.
E veniamo ai Piani Locali Giovani, cui la Corte dei Conti fa riferimento come esempio “virtuoso” di programmazione e gestione della spesa pubblica, auspicandone l’implementazione.
Il Piano Locale Giovani è uno strumento, promosso dagli Enti Locali, in particolare dai Comuni, che rappresenta il processo di concertazione tra più enti, istituzioni, organizzazioni e soggetti collettivi, al fine di armonizzare interessi diversi ed individuare obiettivi comuni per l’attuazione di politiche giovanili orientate allo sviluppo locale ed all’aumento della partecipazione dei giovani ai processi decisionali (Miettoet al. 2009).
E' un metodo efficace e sperimentato per programmare la spesa e le risorse pubbliche destinate ad interventi per i giovani, capace di mettere a sistema esperienze e progettualità che si realizzano in un determinato ambito territoriale in una prospettiva di stabilità, di integrazione e di partecipazione al fine di massimizzare i risultati ottimizzando le risorse disponibili.
Anche la Corte è dello stesso avviso, quando afferma che:
I PLG perseguono gli obiettivi di favorire una programmazione bottom up, fondata su partecipazione, partnership e inclusione del maggior numero possibile di soggetti nel processo decisionale, aumentare l’efficienza della spesa pubblica, anche attraverso la semplificazione amministrativa; aumentare l’efficacia della spesa pubblica attraverso una concreta aderenza aibisogni dei territori e al taglio dei tempi di erogazione, spesa, rendicontazione; Il PLG sviluppa le politiche giovanili del territorio nel suo complesso, e migliora la qualitàdella vita della comunità nel suo insieme, esso deve integrarsi con gli altri fondamentali strumenti della programmazione locale, come il Patto per lo Sviluppo, il Piano strategico locale, il Piano di Zona. Molti Comuni hanno usato il PLG come un’occasione per rafforzarsi, attrezzarsi e potenziare i servizi. Non si è trattato solo di investimenti strutturali, in una cornice più ampia, si sono stipulati accordi, intese.
***
Anche il Comune di Napoli, attraverso una struttura amministrativa dedicata, ha fino al 2011 utilizzato, come altre Città Metropolitane e Comuni di minori dimensioni in Italia, lo strumento del Piano Locale Giovani.
A Napoli, è stata incoraggiata l’attività di messa in rete di esperienze, competenze, progettualità e risorse, interpretando innanzitutto “il territorio” come fonte di potenzialità inespresse e inascoltate ed i giovani come agenti fondamentali del cambiamento non più procrastinabile, per rilanciare la città.
Il metodo attraverso il quale si è intervenuti per creare tale sinergia è stata una esperienza di progettazione partecipata che, partendo dal lavoro dell'Osservatorio Giovani presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università “Federico II”, i cui ricercatori hanno attivamente partecipato a tutto il percorso, ha visto coinvolti operatori comunali, tante associazioni giovanili ed enti , in prevalenza del terzo settore, caratterizzati da una compagine giovane.
Nel contempo si è lavorato sul rapporto tra le strutture amministrative delle stesso Ente, e si è inaugurata una collaborazione trasversale tra Servizi diversi, anche attraverso il coinvolgimento diretto di alcuni uffici, lontani come competenze e come collocazione nell’ambito dell’organizzazione comunale, nella progettazione e nella attuazione di azioni innovative rivolte ai giovani cittadini.
In sintesi, accanto ad una attività volta al reperimento delle risorse economiche da integrare con le scarse disponibilità del bilancio comunale, si è attivata una intensa attività di governance locale, che si è sviluppata nella direzione del coinvolgimento degli stakeholders del territorio, non trascurando i rapporti e l’interazione con le varie articolazioni dell’organizzazione amministrativa del comune, che nei procedimenti di attuazione degli interventi rivolti ai giovani della città sarebbero state sia pure indirettamente coinvolte.
In quest’ultimo caso si è fatto ricorso allo strumento, previsto dalla legge, delle conferenze di servizi, che hanno avuto come virtuosa conseguenza la condivisione culturale dell’approccio innovativo proposto, ed un cambio di atteggiamento da parte dell’apparato burocratico.
Le politiche giovanili, come si è detto, sono infatti politiche trasversali, e per essere concretamente attuate necessitano di una particolare cura da parte di tutto personale pubblico, e non solo degli operatori sociali, verso i giovani utenti, attraverso un approccio accogliente e trasparente volto a conquistarne la fiducia e a farne utenti consapevoli e cittadini protagonisti.
L’esperienza del Comune di Napoli, è diventata a livello nazionale un modello.
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Cambiando angolo visuale, e guardando ad una dimensione macro, ecco la Strategia Europa 2020, che punta a rilanciare l'economia dell'UE nel prossimo decennio.
In un mondo che cambia l'UE si propone di diventare un'economia intelligente, sostenibile e solidale. Queste tre priorità, che si rafforzano a vicenda, intendono aiutare l'UE e gli Stati membri a conseguire elevati livelli di occupazione, produttività e coesione sociale. In pratica, l'Unione si è posta cinque ambiziosi obiettivi – in materia di occupazione, innovazione, istruzione, integrazione sociale e clima/energia – da raggiungere entro il 2020; ogni Stato membro ha adottato per ciascuno di questi settori i propri obiettivi nazionali; interventi concreti a livello europeo e nazionale vanno a consolidare la strategia.
I Piani Locali giovani sono uno strumento utile a declinare a livello locale le linee guid della strategia UE. Costituiscono una best practice da diffondere e riprodurre in altri contesti.
Chiudo citando ancora una volta la Sezione Centrale di Controllo della Corte dei Conti:
Le Politiche Giovanili con i PGL hanno raggiunto visibilità. Sono, per loro natura, multiformi. Integrazione e mainstreaming regolano i modi di affrontare materie complesse, hanno perciò i contenuti, i metodi e gli strumenti per esprimere posizioni in campi in cui, finora, non intervenivano: dal lavoro all’economia, alla sanità, fino ai trasporti.
Si rileva la necessità di una strategia nazionale che identifica nei PLG il principale approccio delle Politiche Giovanili a livello territoriale, ed è importante che anche alcune Regioni abbiano deciso di adottare i PLG nella loro programmazione.
Una parte delle Amministrazioni comunali italiane, l’ANCI che li rappresenta, e la Rete ITER, che ha elaborato la metodologia del PLG, avevano visto giusto.
Il management degli enti locali che, pur essendo costretto a superare non poche resistenze interne, è riuscito ad attuare in concreto l’attività programmatoria e di spesa, aveva colto le potenzialità del metodo, anche dal punto di vista delle positive ricadute sulle organizzazioni amministrative.
Va evidenziato che già da due Governi, lo scorso e quello attuale, non c’è più un Ministro delle Politiche Giovanili (e non sappiamo se il relativo dipartimento sopravviverà), di certo non risulta rifinanziato il Fondo Nazionale per le Politiche Giovanili (anche se, al fine dell’applicabilità del PLG, non è necessario un Fondo dedicato, o comunque non necessariamente così dotato come quello di cui si è parlato) né mi pare si parli più di politiche giovanili nei termini appena esposti.
In alcuni Comuni, tra i quali anche Napoli, le strutture organizzative dedicate a questo tipo di interventi stiano scomparendo.

Ma questi sono i paradossi italiani.

2 commenti:

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