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domenica 2 giugno 2013

Tra Corte dei Conti e servizi fondamentali: il caso Napoli - I dirigenti a tempo determinato oltre la semplice funzione burocratica

Giovanni Paonessa
socio fondatore di M(p)3
Il Manifesto di mercoledì 29 maggio ha ospitato un intervento di Enrico Panini, Assessore al Lavoro del Comune di Napoli in cui, con particolare accuratezza, si commenta la recente pronuncia della Corte dei Conti della Campania che ha ritenuto legittimo il comportamento dell’Ente che lo scorso ottobre ha proceduto all'assunzione di maestre con contratto di lavoro a tempo determinato malgrado fossero già vigenti le limitazioni ed i vincoli imposti dalla normativa in materia di assunzioni e contenimento della spesa.
Per la Corte dei Conti, infatti, sui vincoli alla spesa previsti da una normativa contingente, prevalgono – e non potrebbe essere diversamente – le prescrizioni della nostra bella Costituzione in materia di diritto allo studio ed all'educazione che inizia, come sappiamo, già dalla frequentazione delle scuole dell’infanzia, soprattutto nel caso di bambine e bambini che vivono in contesti di fragilità o di disagio familiare.
La Deliberazione adottata dalla Giunta Comunale di Napoli per procedere alle assunzioni di “supplenti”, non solo era pienamente conforme ai dettati legislativi ma rappresenta un importante precedente per ricondurre alla “gerarchia delle fonti” gli atti che quotidianamente gli amministratori degli Enti locali sono tenuti ad adottare quando bisogna assumere scelte strategiche per continuare a garantire i servizi fondamentali ai cittadini, nel nostro caso quelli dei più piccoli ed indifesi, sebbene in presenza di vincoli normativi e di forti limitazioni alle disponibilità finanziarie.
Ma, se il provvedimento della Corte dei Conti rappresenta la conferma della bontà e della correttezza formale e sostanziale dell’atto adottato dalla Giunta Comunale di Napoli, che merita apprezzamento per il coraggio politico-amministrativo dimostrato, non è possibile ignorare le difficoltà che all'epoca furono sollevate dalla dirigenza dell’Ente per trasformare in atti amministrativi il chiaro e coerente indirizzo della Giunta.
Chi ha memoria lunga ricorderà il vero e proprio psicodramma che si consumò intorno alla fuorviante problematica su chi dovesse assumersi la responsabilità della sottoscrizione dei contratti di lavoro con le maestre, indispensabili per aprire regolarmente le scuole dell’infanzia comunali.
Si registrò una paradossale serie di “obiezioni di coscienza” anche se sarebbe meglio utilizzare il termine “obiezione di conoscenza” per cui, uno di seguito all'altro, i dirigenti che sulla base dell’organigramma dell’Ente avrebbero dovuto assumersene la responsabilità declinarono l’invito a procedere. Non si registrarono dimissioni, quelle no, mai in questo mondo, ma prese piede uno strano gioco di palazzo per cui, alla fine, per sottrazione, restarono a disposizione esclusivamente il Direttore Generale ed il Capo di Gabinetto.
Il primo fece prevalere una questione (giusta e condivisibile) di principio amministrativo generale, gli atti gestionali non possono essere posti in capo al Direttore Generale.
Il secondo fece leva sul senso di responsabilità caricando su di sé anche questa incombenza. Eppure, dovrebbe essere chiaro a tutti che in quelle convulse ore si consumò un grave processo di insubordinazione, oltretutto gratuita ed immotivata, come è stato dimostrato dai fatti successivi.
E qui si innesca la discussione che, proprio in queste settimane, su iniziativa di M(p)3 (Manager Privati Per il Pubblico) abbiamo provato ad aprire, in particolare con l’affollato e riuscito appuntamento del 23 maggio aCittà della Scienza.
I detrattori del ricorso alle professionalità esterne alle dotazioni dirigenziali degli Enti Locali, si richiamano ad una presunta terzietà del dirigente pubblico rispetto alle funzioni politiche che amministrano le città. Da questo osservatorio, che si caratterizza per il tormentone “io ho vinto un concorso”, i manager assunti con contratti a tempo determinato vengono volutamente e strumentalmente confusi con i consulenti o con le figure di staff e, per lo più, tutti questi profili sono accomunati da un supponente e generico giudizio negativo.
In realtà, i manager assunti con contratti di lavoro temporaneo esprimono la propria professionalità assumendosi la responsabilità di trasformare, con grande attenzione e rispetto, gli atti di indirizzo degli organi di governo della città in atti amministrativi coerenti, rispettosi delle normative vigenti e delle compatibilità generali a cui sono sottoposti.
La professionalità dei manager consiste proprio nel conciliare la volontà politica e gli indirizzi di governo con la ricerca delle soluzioni più adeguate.
E’ facile dire sempre: “no, non si può”. E’ sempre possibile commettere errori, fare pasticci. Al di fuori di questo range di possibilità (per il quale i dirigenti che più si contraddistinguono per l’ostilità verso i manager con contratti di lavoro temporanei sembrano propendere con particolare attitudine) c’è la buona amministrazione, la ricerca delle migliori soluzioni, il confronto prezioso e propositivo con i propri amministratori, senza preclusioni, nel pieno rispetto delle regole e dei ruoli che la legge fissa con attenzione.
Dare seguito alle decisioni assunte dalla Giunta Comunale di Napoli in materia di assunzione delle maestre non sarebbe stato un atto di obbedienza, una rischiosa assunzione di responsabilità individuale non prevista dal ruolo ricoperto, come in quei giorni è stato affermato, purtroppo anche da parte delle stesse OO.SS. che pure avrebbero dovuto tutelare le maestre precarie in bilico.
Sarebbe stato, semplicemente (ma la semplicità è una delle cose più difficili da realizzare) esercitare fino in fondo, con attenzione, professionalità e responsabilità, il proprio ruolo divenendo consulenti attivi e propositivi di un’Amministrazione che intendeva tenere aperte le scuole comunali per consentire, anche ai più svantaggiati, di poterle frequentare. Forse, tra le materie brillantemente superate al concorso, le domande sui diritti costituzionale degli ultimi non erano uscite!
***
Qualche giorno fa è venuto meno Pasquale Losa. Fu Assessore alle Risorse Umane del Comune di Napoli ed ebbi modo di collaborare a lungo con lui. Un rapporto mai facile, a volte conflittuale, stanti anche le forti connotazioni caratteriali e la comune storia di militanti sindacali. Ma mai, in nessuna occasione, la funzione dell’amministratore ha tentato di prevaricare quella del dirigente (sebbene con contratto di lavoro a tempo determinato) riconoscendo al rapporto fiduciario quella accezione a maglie larghe che comporta un apprezzamento professionale e mai una funzione sussidiaria o subordinata. E, d’altra parte, mai feci mancare il mio sostegno tecnico e professionale nella leale ricerca delle migliori soluzioni possibili, anche rispetto ad indirizzi che avrei potuto non condividere del tutto.
Era ben chiaro il ruolo politico dell’amministratore, era ben chiaro il ruolo di supporto tecnico e gestionale del dirigente.
Quello che, mi sembra evidente, è del tutto mancato in occasione della vicenda appena citata delle assunzioni di maestre per garantire l’apertura delle scuole comunali.
Ricordo con affetto un episodio, marginale ma per me importante. Di fronte alla richiesta di concludere un procedimento su cui avevo manifestato alcune perplessità sul versante amministrativo-contabile, l’Assessore mi chiese a bruciapelo: “ma a quanto ammonterebbe l’eventuale onere che dovremmo risarcire?”. Gli risposi che si trattava di alcune migliaia di euro, forse diecimila. Mi sorrise e commentò: “va bene, eventualmente dividiamo a metà”.
Un modo immediato per fare sentire la vicinanza, per condividere anche emotivamente un momento di scelta. Naturalmente, trovammo una soluzione (una mediazione tra due ex sindacalisti non era poi così difficile) che tenesse conto delle esigenze “politiche” dell’amministrazione e, contestualmente, dei rilievi che avevo evidenziato. In molti casi, infatti, la soluzione non è “uno vince, l’altro perde” ma “una buona soluzione per tutti”. E, naturalmente, non c’è stato bisogno di “fare a metà”.
Il rapporto fiduciario spesso viene equivocato come una forma di subordinazione ma, al contrario, si fonda su una relazione dialettica sulla base della quale l’Amministratore si avvale della professionalità e delle capacità “problem solving” del manager al quale si richiede una forte dose di innovazione e di visione strategica.
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Ecco, forse per amministrare e per dirigere un grande comune problematico e complesso come la città di Napoli sarebbe necessario ripartire da questo semplice ed efficace “compromesso” tra amministratori e dirigenti ma, soprattutto, trovare un comune sentire che non può che andare oltre la semplice funzione burocratica minimalista.
Alcune sensibilità, l’interesse per il bene comune, non vengono valutate ai concorsi, non sono oggetto dei temi e delle domande proposte dalle commissioni d’esame. E, spesso, le risposte si trovano andando oltre le strade già battute. La Pubblica Amministrazione ha bisogno di manager preparati e creativi, non potrà fare passi significativi limitandosi a filtrare le proprie azioni con lo spettro dei giudizi del TAR o della Corte dei Conti.
Poi, può perfino capitare, come è successo questa volta, che gli stessi Tribunali amministrativi siano più avanti di chi li evoca ad ogni occasione, spesso solo per pigrizia o per ignavia.
Le più importanti riforme sono state anticipate da soggetti che le hanno costruite sperimentando, spesso rischiando in proprio. Si pensi a Franco Basaglia che interpretò il suo ruolo di dirigente responsabile di un procedimento per rivoluzionare un contesto. Se al suo posto ci fossero stati rigorosi interpreti dell’ortodossia, i “malati” psichiatrici sarebbero ancora “curati” legandoli ai letti di contenzione.
***
Probabilmente, come abbiamo sostenuto durante il convegno di MP3 a città della Scienza, la Pubblica Amministrazione potrà essere davvero riformata solo intervenendo sulla natura stessa del rapporto contrattuale della propria dirigenza, prevedendo forme avanzate e fin qui non sperimentate di “rimescolamento” culturale e professionale.

3 commenti:

  1. Non condivido l'assunto dell'articolo.
    Dirigenti di ruolo = timorosi, e "non conoscenti", quindi ignoranti
    Dirigenti "precari" = coraggiosi e preparati.
    Si parte da un caso specifico e si generalizza impropriamente.
    Allo stesso modo, sulla base di altri casi, si potrebbe generalizzare al contrario e scrivere:
    Dirigenti di ruolo = vincitori di concorso, preparati e predisposti a curare l'interesse pubblico
    Dirigenti "precari" = beneficiati per amicizia di qualche politico e asserviti a raggiungere obiettivi anche in barba alle norme vigenti.
    Detto questo nel metodo, nel merito il caso particolare sarebbe da capire bene.
    Si è di fronte ad una richiesta di archiviazione della Procura regionale della Corte dei Conti, quindi non vi è stato un giudizio, né un'assoluzione.
    Si dovrebbero leggere gli atti per capire bene le motivazioni. Dalle poche notizie di stampa sembra che la cosa si fondi sulla deliberazione delle ss.rr. 46/2011, che non è certamente una delle deliberazioni più riuscite della Corte ...

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    1. Francamente sono stufa di leggere commenti come quello di quest'anonimo, che già per il fatto di essere tale dà luogo a qualche perplessità. E' chiaro che le parole dell'articolo vogliono essere provocatorie, e giustamente lo sono.
      Personalmente reputo che il solo fatto di essere vincitori di concorso non è di per se sinonimo di competenza, nè di predisposizione alla cura dell'interesse pubblico. Sappiamo come sono stati fatti i concorsi pubblici in Italia, sovente tutt'altro che lontani da interferenze politiche. Ma, soprattutto, vogliamo parlare di come sono strutturate le prove dei concorsi pubblici, e se sono davvero in grado di selezionare competenze? A me pare che, piuttosto, i concorsi a dirigente, in Italia, si limitino a selezionare null'altro che diligenti conoscitori di norme, e che quei dirigenti pubblici che sono davvero bravi lo sono perchè, avendone le caratteristiche, hanno scelto di intraprendere percorsi autonomi di apprendimento e professionalizzazione.

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    2. Non credo sia utile generalizzare e ripercorrere la vecchia contrapposizione tra dirigenti a tempo indeterminato e dirigenti a tempo determinato. Non è il rapporto che lega il dirigente all'Amministrazione che lo qualifica più o meno professionale e legato alla "causa".
      Piuttosto propenderei per una sempre maggiore specializzazione e professionalizzazione dei manager pubblici che diano un contributo di competenza agli Amministratori per affiancarli nel sempre più difficile compito di gestire in maniera "pubblica" gli Enti.
      Smettiamola tutti di nasconderci dietro la vittoria di un concorso per accampare diritti e prevalenze che i cittadini non riescono più a comprendere.
      Pensate davvero che a chi vive fuori dai palazzi interessi lo status giuridico di un dirigente pubblico?? Al cittadino stà a cuore che le strade siano pulite e che non abbiano buche, tutto il resto sono solo recriminazioni di casta!!

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